La calce fin dall’antichità è stata il più importante legante impiegato nelle costruzioni ed i Romani, in particolare, con il suo uso riuscirono a costruire volte dalle dimensioni straordinarie.
Gli impianti per la sua produzione, chiamati calcare o calchere, erano molto diffusi soprattutto nelle zone in cui era disponibile e facile da reperire la pietra calcarea, materia prima essenziale per la sua fabbricazione. La calce si ottiene per calcinazione delle pietre calcaree a circa 1000°C, il prodotto così realizzato, la calce viva, dopo essere stata idratato si trasforma in calce spenta. Mescolando quest’ultima con gli aggregati (ad esempio la sabbia) si ottengono le malte.
Nell’Ottocento per la cottura delle pietre calcaree vennero adottati forni verticali in elevato costruiti in pietra o mattoni, dall’aspetto di torri più o meno alte, a sezione circolare oppure a sezione quadrata, quasi sempre provvisti di una copertura superiore a tetto o a cupola.
Nello stesso periodo furono ideate fornaci a fuoco continuo con combustibile separato dalla pietra calcarea, che veniva regolarmente introdotta all’interno della fornace dalla bocca superiore. Man mano che il materiale calcinato giungeva alla base della camera di cottura, si posava su una griglia metallica al di sotto della quale si trovava una camera o una galleria per il passaggio dei carrelli nei quali si raccoglieva la calce viva. Le operazioni di carico venivano eseguite mediante l’uso di elevatori manuali o meccanici collocati sul retro della fornace. Il trasporto delle materie prime e del prodotto finito veniva compiuto di solito con l’impiego di carri trainati dai cavalli.