Girolamo Fini nella Condizion del 1661 denuncia di aver acquistato dal Magistrato sopra i Monasteri i seguenti beni, già appartenuti ai monaci di San Giovanni da Verdara: “casa domenicale con fabbriche, cortivo, orto e brolo per uso”.
Le notizie certe delle barchesse Fini traggono origine da tale iniziale possedimento che ampliato nel corso di un secolo, viene così denunciato agli estimi dagli eredi nel 1711: “Limena fuori: campi 1154, Limena dentro: 500 e varie chiesure e casa domenicale con barchesse, brolo, orto, giardino per uso con campi 22. Nelle “Inscriptiones” del Salomonio del 1696 viene ricordato un palazzo costruito per Vincenzo Fini mirabile “per ampiezza di saloni, per numero di stanze, per terrazze e passaggi coperti e per la varietà degli ornamenti”.
Il primo documento grafico del complesso è un disegno 1722, conservato presso l’Archivio di Stato di Venezia, ove appare la villa al centro di due barchesse al “L”, da cui si dipartono due emicicli ad esedra, che terminano lungo la strada. Alla metà del Settecento al palazzo ed ai suoi annessi viene aggiunto un oratorio, la cui progettazione è attribuita ad Alessandro Tremignon.
Nei catasti e Sommarioni degli inizi dell’Ottocento la villa non appare più, ma memorie bibliografiche citano un fortunale che nel 1774 scoperchiò la barchessa dei servitori ed un altro che colpisce, nel 1774, la villa. Tali eventi portarono alla ricostruzione della villa, così come appare nel catasto napoleonico, nel cui Sommarione si legge la “barchessa destra con casa da villeggiatura” e la “barchessa sinistra con casa da fattor”.
Nel 1813 Francesco Morsari acquista i beni lasciando in eredità, nel 1850, la casa domenicale e il mobilio alla moglie, il resto alla Casa di Riposo di Padova.
Il comune di Limena si è aggiudicato la barchessa meridionale alla metà degli anni ottanta e, dopo un lungo e difficile iter progettuale e costruttivo, la ripropone ora alla comunità completamente restaurata.
(“Ville Venete: la Provincia di Padova”, a cura di Nicoletta Zucchello, Istituto regionale per le ville venete, Marsilio, 2001)
Fini furono un ricco e illustre casato originario di Cipro, isola che, a seguito dell’abdicazione della regina Caterina Cornaro in favore della Serenissima, fu controllata dai Veneziani tra il 1489 e il 1573.
Durante la guerra di Cipro, i Fini parteciparono attivamente alla difesa della propria isola dall’attacco dei Turchi, e si distinsero per avere armato a proprie spese le truppe; a seguito della capitolazione di Nicosia, tuttavia, furono costretti a fuggire a Venezia (1571), città nella quale fondarono una propria attività mercantile.
Qui[4] Vincenzo Fini, divenuto noto avvocato del foro veneziano, «a seguito del versamento di considerevoli somme ai bisogni dello Stato, ottenne nel 1694 l‘aggregazione al corpo patrizio veneziano e l’ingresso al Maggior Consiglio. Pare che il versamento alle casse dello Stato consistesse in una somma pari a duecentomila ducati, una cifra doppia rispetto a quella richiesta dalle leggi veneziane: per questo motivo, quindi, quello stesso Vincenzo ottenne in ricompensa anche la prestigiosa carica di Procuratore di Sn Marco. Alla sua morte, Vincenzo Fini lasciò in testamento 30.000 ducati al fratello Girolamo per la costruzione della facciata barocca di San Moise’.
La facciata della chiesa riporta diverse sculture ed in particolare tre cenotafi, opera di Enrico Marenco, che raffigurano il committente Vincenzo Fini, Girolamo suo figlio e del nipote Vincenzo.
All’interno della chiesa di rilievo è la Lavanda dei piedi realizzata da Jacopo Robusti detto il Tintoretto, uno dei più grandi artisti veneziani.
Nel 1662 l’avvocato Girolamo Fini acquistò Palazzo Flangini-Fini lasciato in eredità alla comunità greca di Venezia dalla famiglia Flangini. Questo ricco casato si distinse anche successivamente per le laute elargizioni pubbliche: ai primi del secolo XVIII, per esempio, i Fini sborsarono la cospicua somma di centomila ducati per l’acquisto di una carica di Procuratore per un secondo Vincenzo Fini (1704).
All’epoca della caduta della Serenissima, nel 1797, la linea patrizia era certamente ancora presente a Venezia con un membro della Quaranta; la linea insignita del titolo baronale.
Palazzo Ferro-Fini, sede del Consiglio Regionale Veneto. risulta dall’unione di due palazzi Palazzo Fini e Ca’ Ferro
Palazzo Fini è legato alla figura di Tommaso Flangini, un greco proveniente da Corfù, ricco avvocato fiscalista che nel 1638 acquista l’edificio e la casa adiacente, li rade al suolo e costruisce un nuovo palazzo già alla fine del 1640, con interventi del “proto” Piero Bettinelli. In seguito, morta senza eredi la figlia di Tommaso, il Palazzo passa per testamento alla Comunità greca veneziana, la quale è impegnata ad utilizzare i proventi della vendita in attività di assistenza e sostegno ai giovani greci. Nel 1662 il Palazzo viene comperato da Girolamo Fini, anche lui ricco avvocato fiscalista, esponente di una famiglia greca venuta da Cipro nel XVI secolo. Egli pensa di lasciare sulla città un’immagine durevole della sua famiglia finanziando anche la fastosa facciata della vicina chiesa di S. Moisè. Gli eredi ne saranno proprietari fino all’inizio dell’800 arricchendo il Palazzo di arredi e mobili preziosi, fra cui affreschi e quadri di Pietro Liberi (Padova 1614-Venezia 1687), visibili anche oggi al piano nobile. Il Palazzo, restaurato più volte, aveva alcune stanze foderate di cuoio dorato (di cui oggi rimane la Sala Cuoi). Nel 1850 Bianca Zane Fini lascia ai figli il Palazzo già diviso in appartamenti in parte affittati e in parte venduti.
Nel 1860 Laura Moschini, moglie del cavalier Luigi Ivancich, armatore dalmata, acquista Ca’ Ferro situata a fianco di Palazzo Fini, che viene trasformato in uno dei più eleganti e confortevoli alberghi della città, denominato inizialmente Hotel Nuova York. Negli anni successivi la famiglia Ivancich acquisisce in blocco anche Palazzo Fini, accorpandolo gradualmente con Ca’ Ferro. Ne rimane proprietaria fino al 1972, quando l’immobile viene acquistato dalla Provincia di Venezia, per passare poi alla Regione.